Neon Genesis Evangelion: Il Terrore Assoluto Di Essere Umani

Neon Genesis Evangelion: Il Terrore Assoluto Di Essere Umani

Con l’arrivo dell’estate approda su Netflix una serie di animazione che non ha bisogno di presentazioni. O forse sì? 
Neon Genesis Evangelion è un’opera di animazione giapponese, sceneggiata e diretta da Hideaki Anno, che ha fatto il suo debutto con 26 episodi andati in onda originariamente in Giappone a cavallo tra il 1995 e il 1996 e giunta nel nostro paese attraverso MTV tra il 2000 e il 2002. Sono stati successivamente prodotti 2 lungometraggi animati, “Neon Genesis Evangelion: Death & Rebirth” e “The End of Evangelion”, entrambi nel 1997. Parallelamente il franchise si è sviluppato anche attraverso l’omonimo manga, iniziato nel 1994 e concluso nel 2013, ad opera di Yoshiyuki Sadamoto, il quale è anche character designer della serie animata e fondatore, insieme a Hideaki Anno, dello studio Gainax e successivamente dello studio Khara. Quest’ultimo è l’attuale  team creativo all’opera sul “Rebuild of Evangelion”, una serie di quattro lungometraggi animati, di cui tre già usciti in sala, ossia “You Are (Not) Alone” (2007), “You Can (Not) Advance” (2009) e “You Can (Not) Redo” (2012), mentre il capitolo conclusivo è previsto attualmente per il 2020. Questi lungometraggi vanno a proporre un nuovo sviluppo e corso degli eventi a partire dalle premesse della serie principale, riscrivendone parzialmente la storia, tuttavia non sono inclusi tra le opere che vanno ad arricchire il catalogo di Netflix in questo caldo mese d’estate, pertanto non ci occuperemo direttamente di loro in questa sede, consigliandone tuttavia la visione a fronte di una loro indubbia qualità.

Tentare di proporre una sinossi di Evangelion è un’impresa piuttosto complessa, e il rischio di tralasciare diverse sfumature di questo racconto, così come quello di fornire devastanti spoiler a chi non abbia ancora dedicato il proprio tempo alla visione di quest’opera, è dietro l’angolo. La scelta è caduta dunque sul cercare di riassumere alcune delle caratteristiche principali di questa serie, di approfondire alcuni degli elementi che rappresentano delle ottime ragioni per avvicinarsi a Neon Genesis Evangelion, sia per chi non l’abbia mai vista, sia per chi desideri riscoprire questa pietra miliare dell’animazione giapponese. 
Le vicende narrate in Evangelion si svolgono in un Giappone del 2015 inserito in un contesto geopolitico mondiale distopico. Un evento catastrofico avvenuto in Antartide 15 anni prima, definito Second Impact, ha completamente devastato il pianeta, annientando circa la metà delle forme di vita e alterando permanentemente l’aspetto di gran parte della Terra. Il protagonista dell’opera è Shinji Ikari, un ragazzo di 14 anni che si trova a pilotare un mecha umanoide, l’unità EVA-01, per conto di una agenzia governativa chiamata NERV, la quale ha lo scopo di contrastare gli attacchi che provengono da misteriose creature definite Angeli (anche se il discutibile nuovo doppiaggio utilizzato proprio in occasione dell’arrivo su Netflix ha ribattezzato questi esseri come Apostoli). Shinji è affiancato in questo compito da numerosi personaggi che a poco a poco si rivelano nel corso della storia e che, in un modo o in un altro, vedono il proprio destino legato all’agenzia NERV. 
Poste queste premesse, che corrispondono allo scenario che si presenta allo spettatore nel corso dei primi episodi, sembrerebbe di trovarsi di fronte ad un buon anime action, condito con i cliché del genere mecha e le sue infinite battaglie tra robot di dimensioni colossali pilotati da adolescenti e sovradimensionate e mostruose creature.Tuttavia, poche opere come Evangelion, ingannano altrettanto spietatamente lo spettatore.
Il veicolo narrativo del genere mecha è presto disintegrato in un racconto che esplode, visivamente e narrativamente, in una moltitudine di livelli differenti, che spaziano da una complessa architettura di simbologie bibliche, misticismo cabalistico ed esoterismo, a intrecci politici, approfondimenti su temi filosofico-esistenziali, fino a giungere al cuore dell’opera, a quel livello che più di ogni altro rende Neon Genesis Evangelion un’opera che genera nello spettatore la sensazione che esista un prima e un dopo di essa: l’esplorazione, profonda e spietatamente vera, delle più inviolabili realtà custodite nella mente e nell’anima dei protagonisti di questo racconto.
Se Evangelion è una serie che sotto moltissimi punti di vista raggiunge delle vette di incredibile complessità, profondità e qualità, è la dimensione psicologica che permea l’intera opera che ne rappresenta la caratteristica che merita maggiore approfondimento.

Evangelion è il racconto della solitudine, dell’assenza, e del dolore che deriva dalla frustrazione di non riuscire a entrare in contatto con l’altro. 
Un tema centrale della serie è il cosidetto “Dilemma del Porcospino”, celebre metafora di Schopenhauer, il quale utilizza come analogia della condizione di incomunicabilità e solitudine umana la difficoltà di questo animale ad entrare in contatto con i suoi simili, il cui corpo, come del resto il suo, è ricoperto di aculei che provocano quindi dolore a chi vi si avvicini troppo, costringendolo a trovare un compromesso tra la vicinanza e il dolore.
Questa dialettica tra il ferirsi e il desiderio di contatto e di amore è uno dei temi principali affrontati da quest’opera, e coerentemente con la dimensione filosofica della serie, riporta alla consapevolezza che il dolore e la sofferenza sono parte della vita stessa. 
Tuttavia, ciò che gli autori mettono in luce attraverso l’esplorazione introspettiva della psiche dei protagonisti è che se da una parte è vero che la nostra individualità ci separa e spesso rende difficile entrare autenticamente in contatto con l’altro, così come sperimentare amore e calore incondizionato, è altrettanto vero che solo nel rapporto con l’altro è possibile, nonostante il dolore, trovare la possibilità di vivere. 
Evangelion è un grande racconto di formazione, in cui ogni personaggio compie, in una dialettica costante con gli altri che lo accompagnano, un proprio percorso di crescita e di consapevolezza che si esprime in un sempre maggiore contatto sia con l’altro e con il proprio sé. Proprio da questo contatto, con le proprie paure, traumi e conflitti più profondi, ogni personaggio compie un cammino verso una sempre maggiore consapevolezza e profondità, sgretolando a poco a poco i cliché del genere e accompagnando lo spettatore verso un’esperienza di immedesimazione catartica con dei personaggi che perdono progressivamente la propria apparente, e ininizialmente voluta, bidimensionalità, per diventare qualcosa di più, qualcosa di profondamente umano.

La caratterizzazione magistrale dei personaggi di questa serie si rivela a poco a poco, e se inizialmente la scelta degli autori è stata quella di presentare dei personaggi che a prima vista apparissero come perfettamente stereotipizzati secondo i classici ruoli in cui suddividere i protagonisti di una serie action giapponese, questo altro non è che un pretesto per distruggere inesorabilmente anche questo canone e portare l’approfondimento psicologico su un livello di complessità completamente differente. Gli autori ci permettono gradualmente di conoscere fino in fondo ciò che si trova nelle profondità della mente dei protagonisti, ponendo lo spettatore nelle condizioni di aprirsi a una risonanza profonda tra i propri temi esistenziali e quelli proposti dai personaggi che popolano questo mondo sospeso tra desiderio di vita e di morte.
Evangelion ci ricorda costantemente, scena dopo scena, che la solitudine e il dolore fanno parte di ognuno di noi, ma solo nel riconoscere e comprendere quel dolore in noi e nell’altro abbiamo la possibilità di realizzare noi stessi come esseri umani. Solo se riusciamo ad aprirci ad un contatto non egoistico con l’altro, libero da una infantile pulsione narcisistica ed egoistica di assorbimento fusionale, diventa allora possibile riconoscere davvero l’altro, riconoscendo il nostro confine come quell’elemento di paradossale continuità con tutto ciò che ci circonda.

Se Shinji, Rei e Asuka, i giovani piloti adolescenti protagonisti di questa serie, sono coloro che più di tutti mostrano una profonda evoluzione della loro coscienza all’interno dell’opera, la visione di Evangelion si accompagna ad un forte senso di progressione da parte di tutti i personaggi principali, tutti alle prese in un modo o nell’altro con i propri conflitti più profondi, tra il desiderio di crescere velocemente e il rimpianto di un’infanzia mai avuta, tra la paura di essere feriti e la possibilità di aprirsi all’amore, tra l’arrendersi alla morte e il profondo desiderio di vivere.
Evangelion è una serie violenta, e per quanto la componente visiva di tale violenza non sia affatto secondaria e presenti a volte immagini crude in cui non vengono risparmiati scenari macabri, è la violenza psicologica quella che maggiormente colpisce lo spettatore. Il senso di solitudine dei protagonisti è un pattern pervasivorotto in alcuni momenti da fugaci sprazzi di speranza e, più spesso, da sequenze devastanti e potenti sul piano emotivo. Le stesse scelte registiche spesso riportano al senso di vuoto attraverso inquadrature di strade deserte, infinite distese di cavi e tralicci che non servono più a nessuno, se non agli stormi di uccelli che vi si posano, così come aule e corridoi di scuole illuminate dalla pallida e vuota luce di un sole che illumina le macerie di qualcosa che non esiste più.

Il senso di vuoto e desolazione non è certo nuovo al genere fantascientifico e distopico, tuttavia in Evangelion questi temi sono ripiegati su sé stessi fino a implodere all’interno dell’anima dei protagonisti, risucchiando lo spettatore all’interno delle loro emozioni, dei loro ricordi, e mettendoci a confronto con traumi, frustrazioni e desideri che rendono, episodio dopo episodio, il proseguire di questo racconto un continuo confronto con noi stessi. 
Sono i profondi e laceranti conflitti interiori dei protagonisti a emergere nei momenti più emotivamente intensi della serie, in una dolorosa dialettica che li costringe a crescere e compiere delle scelte in un mondo spietato, a cercare di costruire una  propria identità con i frammenti tanto preziosi quanto fragili delle loro vite, illuminati allo stesso modo dalla speranza e dal terrore di trascendere sé stessi.
L’impatto emotivo di questa serie diventa quindi catalizzatore del messaggio dei suoi autori, un invito a riflettere su cosa significhi essere umani. Una ricerca di significato che non può che passare attraverso il confronto con il tema dei propri confini. E all’interno di quest’opera, è proprio il tema del confine ad essere assolutamente centrale. 
Il confine è inteso in Evangelion come difesa, come spazio invalicabile tra un essere e l’altro, come barriera frutto della paura che, se da una parte ci mantiene in vita e ci protegge, dall’altra ci rende separati e ci relega a confrontarci con le nostre difficoltà nel comunicare con l’altro.Il confine diviene quindi compromesso esistenziale necessario affinché ci sia vita.Fonderci con l’altro in una simbiosi è quindi l’antitetica e allettante alternativa che si presenta all’interno dell’opera. Se il confine, il limite che separa gli esseri umani, rappresenta una fonte di tanto dolore e solitudine, abbatterlo definitivamente e dare sollievo al nostro bisogno di amore come esseri umani sembra essere un’alternativa che in diversi momenti si presenta persuasivamente vivida ai protagonisti di Evangelion. 
La risposta a questa tentazione viene rimessa alla libertà di scelta dei personaggi, e in ultima analisi, alle riflessioni dello spettatore.
Se ogni confine venisse superato, esisterebbero ancora l’amore, il coraggio, la sfida, la vita stessa? Si potrebbe crescere, maturare, imparare? Potremmo essere umani, se non avessimo la possibilità di conoscere quel confine che ci restituisce la possibilità di conoscere l’altro, le sue emozioni e il rispetto per la sua vita come per la nostra? Se non c’è un confine, è anche solo possibile essere davvero in contatto con qualcuno? 
Sono numerose le domande che Neon Genesis Evangelion lascia aperte e che sono state solamente accennate in questo breve articolo, che altro non vuole essere che un invito a incontrare la complessità e la profondità di questo capolavoro in prima persona.

Evangelion è il racconto della paura di essere umani, della paura di entrare in contatto con l’altro, di ferirsi, e di come tutto questo, alla fine, ci renda simili. Di quanto questo ci renda capaci di tutto. 
Persino di esistere.

Federico Diano


Federico Diano

Nato a Roma, classe ’92. Psicologo. Chitarrista. Gamer. Sincero esploratore di qualsiasi cosa trasmetta delle emozioni e sappia raccontare una storia. Convinto sostenitore che il rock and roll sia in grado di morire e risorgere. Divide la sua vita in prima e dopo aver inserito a 15 anni, per sbaglio, un best-off dei Led Zeppelin nello stereo. Entusiasta collaboratore per gli amici di “Liberando Prospero” dal 2018, in particolare per ciò che è legato alla musica e al videogioco, del quale sostiene e difende la piena maturità e dignità artistica

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