It Capitolo 2 – Il Sonno Della Ragione Genera Mostri

It Capitolo 2 – Il Sonno Della Ragione Genera Mostri

Ogni film, anzi, ogni prodotto artistico ruota attorno a dei macro-temi, declinandoli poi in situazioni particolari, come dimostrano le infinità di romanzi, film, dipinti e canzoni che sono stati prodotti. Alcuni di questi macro-temi diventano fondanti per alcuni generi, siano essi letterari o cinematografici: situazioni al limite per il thriller, i limiti e le derive tecnologiche del futuro per la fantascienza, le varie declinazioni dell’amore per le commedie romantiche, le metamorfosi della paura per l’horror.

Proprio il sentimento della paura finisce per entrare in contatto con il film e, soprattutto, con il suo genere di riferimento in modi, a volte, inaspettati. Il film deve ragionevolmente provocare paura nello spettatore e può farlo percorrendo due strade. Nel primo si sfrutta l’effetto sorpresa o jump-scare: fondamentalmente lo script piega, a volte, le leggi della narrazione e fa compiere al mostro di turno spostamenti imprevisti, facendolo comparire dove il personaggio in scena e lo spettatore non si aspettano (una strategia, questa, che è sempre più in crisi, data la maggiore familiarità del pubblico contemporaneo con questo linguaggio).

Il secondo percorso lavora sull’inconscio dello spettatore, puntando, spesso, a risvegliare alcune sue paure tanto ancestrali quanto sopite: fantasmi, spiriti, case infestate, possessioni, sono tutte suggestioni che, con l’aggiunta dell’opportuna atmosfera, di fatto aggrediscono silenziosamente la psiche di chi guarda, lasciando una traccia più profonda nel momento in cui si esce dalla sala o si cambia canale della televisione.

Nel primo caso, il rapporto che lo spettatore crea col film lo rende passivo e l’unico approccio verso il prodotto audiovisivo, l’unico atteggiamento che egli può tenere nei confronti di esso è il cieco abbandono alla sorpresa oppure annoiarsi per la prevedibilità delle scene.

Nel secondo caso, tutto giocato sulla sensazione fisica della paura e sulle reazioni che essa stimola nell’inconscio, lo spettatore è senza alcun dubbio attivo. Egli cerca inconsciamente nel film quello che lo spaventa e che stimola maggiormente i ricettori psichici della paura.

È da poco uscito in sala un film atipico, che prende il meglio di queste due correnti di sviluppo, migliorando, integrando e completando un percorso iniziato nel 2017 col primo capitolo: IT Capitolo 2, seconda parte e conclusione della storia del gruppo di bambini ora adulti, che lottano per liberare la loro città e le loro vite dal demone pagliaccio che divora soprattutto bambini.

Avevamo lasciato i protagonisti vittoriosi dopo aver sconfitto l’entità per la prima volta, mentre si scambiano il voto di tornare se il pagliaccio fosse ricomparso, una chiamata alle armi che arriva ventisette anni dopo, riportando a galla quello che nei protagonisti era rimasto sopito per tanto tempo.

Il ricordo e la paura di IT sembrano essere i motori che richiamano i Perdenti a Derry, la loro vecchia casa, che inaspettatamente accoglie una parte di loro stessi non ancora sepolta.

Qualcosa riaffiora. Ma che cosa di preciso? Un obbligo verso qualcosa? Una promessa fatta a chi? Oppure c’è qualcosa di più che viene presentato subito nel film?

Ci troviamo di fronte ad una pellicola che parla allo spettatore di qualcosa di preciso fin dall’inizio. La discussa scena iniziale del pestaggio della coppia gay è solo un importante fatto di cronaca portato prima su carta e poi sullo schermo o è piuttosto il brillante prologo di qualcosa di più?

Per la storia tutto ciò che viene raccontato nelle sequenze iniziali non è altro che il minimo tocco dell’istanza narrante che mette in moto la ruota, serve, in sostanza per richiamare i protagonisti a Derry, ma c’è molto di più dietro questo duplice omicidio.

Si può ipotizzare che, come ci mostrano i momenti finali, tutti giocati sulla MDP che porta all’attenzione degli spettatori i numerosi cadaveri nel fiume, IT sia stato richiamato numerose volte da tutte le sue vittime, o meglio, da quel terrore, atavico e senza nome, che ha improvvisamente colto le sue vittime?

Quindi ci si può chiedere, cos’è IT veramente? Esiste davvero come spirito oppure siamo noi e le nostre paure e traumi a crearlo, nutrirlo e rafforzarlo? Un famoso dipinto si intitola “Il sonno della ragione genera mostri”, titolo che si applica perfettamente a tutta la vicenda narrata nel film di Muschietti.

Sebbene la sua manifestazione principale sia sotto forma di clown, il demone assume forme diverse a seconda di chi si imbatte in lui: per Bill è suo fratello Georgie, per Mike sono i genitori morti nell’incendio, per Eddie è dapprima la madre, poi lui stesso, minacciato da uno pseudo-zombie che risveglia la sua germofobia, e così via.

E per ognuno le manifestazioni sono portatori di insicurezze e tic, come la balbuzie latente di Bill, l’omosessualità di Richie e il crollo di Stan che lo porterà all’estremo a suicidarsi. Per ognuno, It assume le sembianza delle loro paure più profonde, costringendoli a reagire e ad affrontare da un lato l’entità demoniaca, dall’altro loro stessi e i propri limiti, o soccombere.

Ognuno dei Perdenti ha un peso da portare che non lo ha fatto andare avanti, non lo ha fatto crescere davvero, anzi, alcuni di essi sono stati costretti a rivivere i traumi dell’infanzia, come Beverly.

Ognuno di loro però durante la lotta arriva alle radici della propria debolezza per affrontarla e superarla, recuperando i simbolici oggetti propri da sacrificare nell’altrettanto simbolico rito, che però si rivela essere fuorviante e inutile per sconfiggere il pagliaccio.

Per lo scontro finale c’è bisogno solo di questo: raggiungere la maturità personale necessaria a sconfiggere i propri demoni.

Quello che il film vuole suggerirci è proprio questo: le paure che proviamo da bambini non ci abbandonano, restano dentro di noi, crescono con noi, aspettando il momento il momento in cui siamo più vulnerabili per riaffiorare. Non ci sarà mai una vera crescita senza l’abbandono dell’infanzia e senza la consapevolezza che siamo noi a far crescere il nostro IT interiore. La sconfitta del pagliaccio è sigillata proprio dalla sua battuta “Siete davvero cresciuti”.

Un film horror che riflette sulla paura in quanto tale, senza filtri e senza mezzi termini, piuttosto tentando di organizzare un discorso che, attraverso il mezzo cinematografico, prova a coniugare le due anime dell’horror contemporaneo (a cui si è accennato in apertura), testandone i limiti e le potenzialità parallelamente sullo spettatore e sui giovani protagonisti. È un progetto a cui è inaspettatamente difficile approcciarsi. Perché IT è, in fondo, un romanzo per lunghi tratti infilmabile, perché la soluzione adottata da Muschietti e dal suo sceneggiatore per risolvere la gran parte delle enpasse a cui si sono trovati davanti, è stata quella di convertire in maniera molto più marcata la seconda parte della battaglia dei Perdenti in una pellicola d’avventura più che in un film horror in senso stretto, perché gran parte del sottotesto magico, i riferimenti testuali alla reale natura di It teorizzati da King, l’accento posto dall’autore americano sui rituali iniziatici, sulla Magia Sexualis, hanno finito, per questo, per perdersi, a vantaggio di scelte creative, a tratti dissonanti. C’è chi, ad esempio, potrebbe giudicare alcuni spunti di simbolizzazione delle paure un po’ eccessive, al limite del trash (come lo pseudo-zombie dalla lingua chilometrica o il ragno-testa), ma, in fondo, chi siamo noi per giudicare la forma in cui si manifestano le paure altrui?

Bisogna confrontarsi con It – Capitolo 2 nel giusto modo. Sapendo di trovarci di fronte ad un prodotto che volutamente procede per una strada differente dalla fonte letteraria, un progetto che fa della metastualità, delle radici ben ferme nelle forme dell’intrattenimento contemporaneo, della sua attenzione allo spettatore, gli elementi portanti della sua natura profonda, oltreché di tutti i suoi pregi.

Bilanciando ottimamente humor e salti sulla sedia, IT Capitolo 2 è un film che parla a tutti in maniera aperta e offre una riflessione chiara allo spettatore. Forse si potrebbe pensare che il messaggio sia semplice e dichiarato, a volte forse detto in maniera troppo esplicita, ma non è detto debba essere necessariamente un difetto avere un messaggio chiaro e permettere allo spettatore la sensazione esatta di quello che ha appena visto.

Coniugando con intelligenza un cast eccellente, atmosfere surreali che puntano all’inquietudine più che allo spavento fine a sé stesso e un messaggio diretto, la seconda parte della dilogia di Muschietti scorre piacevolmente fino alla fine nonostante la durata consistente, lasciando lo spettatore soddisfatto della visione.

Sabrina Podda

Sabrina Podda

nata nel ’92, incontra il cinema fin dall’infanzia, che da fedele compagno di crescita diventa motivo di vita e introspezione; laureata in cinema con una tesi sull’evoluzione della stop motion nei film di Tim Burton, aspira a diventare regista di storie non ancora raccontate e di quelle già narrate, offrendone un nuovo punto di vista; collabora con Liberando Prospero per offrire prospettive interpretative alternative sui film altrui e nuovi spunti di riflessione attraverso le proprie realizzazioni; a tal proposito, dà vita alla Firefly Productions, una nuova realtà che farà luce nelle zone buie della ripresa video (cinematografica e non), illuminando prospettive finora mai realizzate.

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