Piccole Donne – Riscoprire Un Classico E Ritrovarsi Cresciuti

Piccole Donne – Riscoprire Un Classico E Ritrovarsi Cresciuti

A distanza di quasi un secolo e mezzo dalla sua primissima pubblicazione, Piccole Donne di Louisa May Alcott resta tutt’oggi un romanzo straordinariamente moderno, capace di parlare al cuore di generazioni e generazioni di lettori e di offrire un’efficace messa in quadro della condizione della donna nella società americana di metà Ottocento attraverso la storia di quattro sorelle e del loro passaggio all’età adulta.  

Un libro che ha trovato fortuna anche nei suoi vari adattamenti sia sul grande che sul piccolo schermo (il più recente realizzato nel 2017 e rilasciato sul canale BBC 1), mantenendo ogni volta intatti quelli che erano e rimangono i caratteri, i temi e la sensibilità di una vicenda tanto universale quanto personale (frutto dell’esperienza di vita familiare dell’autrice stessa) senza spostare di una virgola il discorso oltre un certo tipo di approccio che fa della classicità formale e del rispetto per i codici linguistici (spesso legati al melodramma e al coming of age) i suoi punti fermi.

Ragion per cui, oggi, rimettere mano ad un testo come quello della Alcott significa prima di tutto confrontarsi con un immaginario consolidato e difficilmente smussabile. Eppure nonostante questo apparente limite creativo e concettuale, la versione cinematografica targata 2019 scritta e diretta da Greta Gerwig, regista e sceneggiatrice della scena indie americana, non solo mostra sin dalla prima sequenza una chiara volontà di approcciare alla base letteraria con un cambio di passo radicale e autoriale, rispettoso degli accadimenti principali della storia, del sistema dei personaggi e della morale di fondo ma deciso a perseguire i temi principali attraverso una forma riflessiva e metatestuale del tutto inedita.

La scena d’apertura è immediatamente esemplificativa di tale scelta. Non più un momento di comunione tra Jo, Amy, Meg e Beth in cui impariamo a conoscerle attraverso qualche scambio di battuta mentre si preparano a festeggiare un Natale senza regali e senza la presenza dell’amato padre (partito per combattere nella guerra di secessione), ma la figura in penombra il personaggio di Saoirse Ronan in attesa di essere ricevuta da un editore.

Jo non è più la ragazzina che scrive storielle e spettacoli da recitare insieme alle sue sorelle, ma una scrittrice ai suoi primi passi e che spera di farsi accettare i suoi scritti senza però firmarli; si scontra con un ambiente lavorativo prevalentemente maschile, basato su narrazioni per cui esistono solo due conclusioni per protagoniste donne (il matrimonio o la morte).

Vorrebbe scrivere il suo primo romanzo ma non ha ancora trovato una voce per distinguersi, vuole proporre storie che la riguardano da vicino ma è obbligata a cedere al compromesso. Se nelle precedenti versioni è sempre stato sottolineato l’essenza di questo personaggio come alter ego e figura metatestuale della stessa Alcott, nel film del 2019 c’è un’ulteriore livello di lettura che va a ricollegarsi al percorso artistico della regista e sceneggiatrice: la protagonista è in fondo un immagine speculare della stessa Gerwig, una giovane autrice che vorrebbe imporsi all’interno dell’industria hollywoodiana ma che è costretta a scontrarsi con un sistema di stampo tradizionalista ed esclusivo.

È come se la Gerwig rivedesse la giovane sé stessa nella vicenda della Alcott che è poi anche la vicenda di Jo e attraverso i caratteri delle quattro sorelle volesse riprodurre quelle dinamiche e quei personaggi femminili fuori dalle regole, imperfetti e animati da una forte volontà di indipendenza, passione per l’arte e autodeterminazione rispetto alla società che hanno sin qui caratterizzato la sua filmografia.

La regista propone la sua versione al pubblico di oggi rispettando la classicità nella messa in scena, l’ambientazione ottocentesca, il percorso delle protagoniste e gli snodi più significativi, ma al contempo organizza il testo secondo una struttura non lineare, ma emotiva, in cui presente e passato dialogano spesso, l’età adulta è costantemente interrotta e riletta attraverso dei flashback che conferiscono un’emotività e un significato inedito nell’immediatezza della fruizione. In questo modo Piccole Donne di Greta Gerwig si pone come sia racconto di formazione che uno perfetto studio sui personaggi, in particolare sull’essere donna, e lo fa attraverso un’impostazione volutamente teatrale in cui sono proprio le parole a definire i caratteri. Questa scelta si riscontra anche volontà di mantenere lo stesso attore in entrambi i tempi narrativi.

Laddove la regia e la fotografia delineano e distinguono il tempo dell’infanzia e dell’età adulta attraverso un utilizzo preciso e distintivo dei colore e alternano piani sequenza a inquadrature fisse a seconda dei momenti di solitudine/comunione, la scrittura da più spazio ai singoli personaggi, a come le scelte e le aspirazioni del passato hanno avuto conseguenza nel presente, alla loro crescita.

Le protagoniste divengono così quattro declinazioni del femminile in un contesto in cui è difficile vedere realizzati i propri sogni di bambine, in cui è necessario imparare a prendere ciò che la vita offrire senza per questo rinunciare all’amore e alle proprie passioni.

Se Jo mantiene in sé il carattere indomito, fiero e ribelle che l’ha da sempre contraddistinta nelle sue precedenti versioni (in particolare quella del 1933 di Katharine Hepburn e del 1988 di Winona Ryder) l’interprete Saoirse Ronan riesce a conferire nuove sfumature al personaggio in particolare nei momenti di maggiore insicurezza, nella sua paura di fronte alla malattia di Beth e nei suoi piccoli momenti di crisi (le lacrime dopo il taglio di capelli per pagare il viaggio alla madre).

Meg (Emma Watson) da ragazza frivola, amante dei bei vestiti e delle sete eleganti, alla fine mette da parte il suo talento di attrice per vivere quello che è il suo vero e unico obbiettivo: un matrimonio felice con l’uomo che ama. Nel presente è sposata con John Brooke e ha due bambini ma non può permettersi abiti costosi. Se però il marito è disposto a fare mille sacrifici per offrirle la vita merita, rinunciando ad un cappotto per l’inverno, alla fine è Meg ad accettare un vita di stenti e di qualche sacrificio ma con un compagno capace di darle sostegno sempre e comunque.

Beth (Eliza Scanlen) a causa della sua ritrosia di coltivare la propria passione per la musica oltre le mura domestiche con la sua morte sarà lo stimolo che riaccenderà in Jo la volontà di portare a termine il romanzo e attraverso quelle pagine rendere immortali le sue sorelle, l’amore che le lega nonostante il tempo, le gelosie, i litigi, le rinunce e le delusioni.

Amy (Florence Pugh) da bimba capricciosa e gelosa dell’amore di Laurie (Timothée Chalamet) per Jo, una volta cresciuta è un’adolescente razionale e coscienziosa, che capisce di non possedere il talento necessario per le sue aspirazioni di grandezza. È consapevole delle difficoltà che una donna deve affrontare senza la sicurezza di un matrimonio di convenienza ma anche della mancanza d’indipendenza che ciò comporterebbe. A Parigi ritrova Laurie, ancora ferito dal rifiuto di Jo, ma nel momento in cui lui confessa di provare qualcosa per lei, la ragazza afferma di non voler essere un ripiego pur ricambiando il suo amore. Alla fine lei non sposerà più Fred Vaughn, ma proprio Laurie rinunciando ad una vita di agi e sicurezze ma riuscendo a mantenere la propria libertà. La stessa che insegue Joe e che riuscirà ad ottenere, accettando il compromesso di far sposare l’eroina del suo romanzo senza però rinunciare ai diritti del suo libro.  

Le quattro attrici sono scelte con cura, tutte perfette nei rispettivi ruoli e dimostrano un grandissimo affiatamento. Non interpretano quattro personaggi, incarnano con naturalezza le diverse personalità di quattro donne imperfette, contraddittorie, come tante, in cui possiamo riconoscerci, di cui non possiamo condividere ogni scelta ma che emozionano e restano impresse perché diventano personaggi autentici, spontanei e mai eccessivi. Un discorso che valido anche per le controparti maschili, in particolare grazie al talento di un sempre più bravo Timothée Chalamet anche in un ruolo da non protagonista dopo le ottime prove offerte in Call me By Your Name e di recente in The King, e per tutti quei personaggi secondari in cui svettano due grandi professioniste come Laura Dern e Meryl Streep.

Piccole Donne di Greta Gerwig si dimostra così un film stratificato e toccante; una grande e sottile riflessione sul potere affabulatorio della scrittura e sul diventare adulti; un’opera d’autore che non limita il proprio discorso ad una mera affermazione femminista e programmatica, anzi che amplifica la propria portata grazie alla sua capacità di costruire un rapporto duraturo con lo spettatore/spettatrice mettendolo di fronte tanto alle gioie e ai momenti di felicità quanto alle amarezze nella vita e nella storia di quattro donne. Il film infatti parla a quei lettori il cui immaginario è stato segnato dalle pagine della Alcott, che è cresciuto insieme a Jo, Amy, Meg e Beth, e che ora ritrova cresciute, riflesso di una maturazione a cui tutti dobbiamo andare incontro. Perché se è ancora lecito credere nell’amore, nella generosità e nei sogni bisogna imparare ad accettare anche i lati spiacevoli della vita, a comprendere il dolore dietro ad ogni piccolo compromesso e a guardare avanti fieri delle proprie conquiste e commossi verso quell’infanzia perduta ma che vivrà per sempre nei nostri ricordi.

Laura Sciarretta

Laura Sciarretta

Laura Sciarretta: (14 dicembre 1988) è laureata in Letteratura Musica e Spettacolo alla Sapienza di Roma dove approfondisce le proprie conoscenze umanistiche. Dopo un periodo un po’ complesso, frequenta il corso magistrale in Spettacolo teatrale, cinematografico e digitale, sempre alla Sapienza, dove si laurea in forme e modelli del cinema italiano. Nel frattempo inizia alcune collaborazioni, ricordando in particolare l’esperienza formativa e indimenticabile con il portale on line “Rear Windows”, per cui scrive diversi articoli e collabora attivamente dal 2014. Le viene proposto di entrare a far parte di “Liberando Prospero” verso la fine del 2018. Visti gli obbiettivi del collettivo, tra cui la comune volontà di proporre analisi, prospettive e riflessioni nuove e sempre attente al contesto culturale e ricettivo, alle tendenze e al pubblico con cui l’arte, il cinema, il teatro, la serialità televisiva e i nuovi medium entrano in comunicazione, coglie questa opportunità con ritrovato e genuino entusiasmo.

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