Tolkien – Ripensare (Goffamente) Il Biopic

Tolkien – Ripensare (Goffamente) Il Biopic

Tra i film biografici, c’è una sottocategoria dedicata alle vite e alle opere degli scrittori. Attraverso il racconto delle loro vite, si costruisce la nascita e lo sviluppo delle loro opere di maggior successo, che spesso sono anche le più famose. La vita è intrecciata all’arte, la plasma, la influenza e la nutre, in modo che vita vera e opere siano l’una lo specchio dell’altra. Le fondamenta delle opere artistiche, dal cinema, alla letteratura, alla pittura, si dipanano principalmente da quello che l’artista conosce, ovvero da se stesso e dalla sua esperienza di vita. Ogni film lega a doppio filo arte e vita. La vita raccontata viene sezionata per raccontare la genesi dell’opera, e l’opera viene scelta, di solito, perché la più rappresentativa della vita dell’artista.

Nel film Becoming Jane, il racconto inizia con l’incontro tra la scrittrice Jane Austen e l’uomo di cui si innamorerà, ma dal quale sarà costretta a separarsi (sebbene romanzato, il film si basa su uno dei pochi eventi della vita della scrittrice che conosciamo). La loro travagliata storia d’amore sarà per lei l’input per iniziare ad immaginare e poi scrivere la sua opera massima, Orgoglio e Pregiudizio.

Allo stesso modo, il film Bright Star racconta gli ultimi anni della vita di John Keats e la composizione delle sue poesie di maggior rilevanza, tra le quali spicca Ode to the Nightingale.

Raccontando una piccola porzione della vita dello scrittore J. M. Barrie, Neverland ci mostra la nascita dell’opera Peter Pan, attraverso il ritorno dell’ispirazione dato dall’incontro di Barrie con una madre e i suoi figli. Si tratta di opere audiovisive che costruiscono un rapporto preciso tra l’autore e l’opera, e un rapporto preciso tra il film e lo spettatore, tutto basato sull’orizzonte d’attesa noto ed evidente di chi guarda, il quale sa benissimo cosa aspettarsi fin dalle prime immagini.

Su questa scia si innesta l’ultimo biopic dedicato alla vita di un grande scrittore: Tolkien. Ci stiamo confrontando con un prodotto che, a differenza degli esempi precedenti, non racconta la storia di un segmento di vita specifica dell’autore inglese, ma, utilizzando due tipi di flashback, ci racconta più parentesi di vita dell’amatissimo Professore: un accenno alla sua infanzia, terminata bruscamente con la perdita della madre, l’adolescenza e la scuola, in cui conosce i suoi compagni di crescita non solo fisica ma soprattutto artistica, l’età degli studi universitari, in cui coltiva la passione per le lingue e la filologia, la guerra e il dopoguerra.

Viene da chiedersi se la diegesi ci pone di fronte a queste tranche de vie proprio perché queste sequenze biografiche sono funzionali a raccontare la genesi di un particolare lavoro di Tolkien, magari quel Signore Degli Anelli che è la sua opera più famosa, amata e, soprattutto, conosciuta al grande pubblico.

Dove vuole andare a parare la narrazione? Ci sta accompagnando attraverso i confini “sentimentali” che daranno concretezza letteraria alle avventure di Frodo e della Compagnia nella Terra Di Mezzo? Si tratta, prevedibilmente, di una risposta ben più complessa di quanto si pensi.

Pensiamo, in primo luogo, alla messa in scena di determinate sequenze del film:

Tutte le scene di guerra hanno in comune degli oscuri cavalieri fantasma (probabilmente i Nazgul) e si caratterizzano per atmosfere torride e bruciate, nuvole e fumi delle armi, che, cromaticamente, ricordano il Monte Fato, e rimandano alle atmosfere delle battaglie di Isildur o del Fosso di Helm (se, nello specifico, pensiamo alla rappresentazione che di questi scontri ne ha dato Peter Jackson nella sua trilogia cinematografica). Si tratta di spunti, suggestioni che appaiono al giovane autore nel pieno della febbre sul campo di battaglia e che, proprio per questo, non possono far altro che domandare di essere portati su carta, in un’ampia narrazione.

Questi indizi ci porterebbero quindi verso una direzione precisa, ma non tutto ciò che vediamo, non tutta questa gamma di suggestioni, ci rimanda al Signore degli anelli.

Nonostante siano ricorrenti i disegni di ragni, esseri fondamentali non solo per Il Signore Degli Anelli, ma anche per Lo Hobbit, e uno scambio di battute sulla natura degli alberi, giganti dotati di propria vita e linguaggio (ovvio il riferimento agli Ent de Le due Torri), altri spunti portano altrove.

Viene evocata l’immagine di un drago (chiaramente Smaug) e la stessa sagoma di Sauron che fa capolino in un momento del racconto potrebbe riferirsi tanto ai racconti tolkieniani sulla sua genesi quanto alle guerre in cui viene sconfitto. Improvvisamente, il racconto sulla creazione del mondo della Terra Di Mezzo lascia spazio all’interesse per la teorizzazione di lingue artificiali del Professore. La diegesi sposta dunque ulteriormente il focus verso la produzione filologica, fondamentale nell’ottica di un biopic che voglia dirsi completo ma è indubbio che questo approccio alla materia non aiuta lo spettatore ad interfacciarsi con il film nel modo migliore, che rischia di finire disorientato. Senza un attimo di tregua si ritorna al Signore degli anelli con la figura la figura dell’aiutante di campo di Tolkien di nome Sam e con la creazione della “compagnia” formata da lui e dai suoi tre compagni di scuola.

Tutto lascerebbe intendere, dunque, data la preponderanza, che questo film sia il racconto della genesi letteraria del Signore degli anelli, ma la pellicola si chiude inaspettatamente con Tolkien che racconta ai figli l’inizio di una storia, ma che si rivela essere Lo Hobbit, come si evince dall’incipit che vediamo scritto sul volume.

L’intento del film era forse dunque quello di narrare la genesi de Lo Hobbit? Allora perché i riferimenti alle altre opere? Intendeva forse narrare la genesi della lingua elfica? L’origine del mondo dell’opera tolkieniana? Oppure si è tentato di creare un unico insieme di più elementi, fiduciosi che lo spettatore avrebbe provveduto a colmare gli spazi vuoti?

È vero, l’opera tolkieniana è connessa intrinsecamente, anzi, ogni storia fa parte dello stesso universo narrativo, tutto contribuisce a creare il mondo, ogni personaggio diventa protagonista della propria storia e contribuisce a creare il contesto per le narrazioni che seguiranno, tutto si lega attraverso la forza della lingua creata dallo scrittore, ma chi non è avvezzo a tutto questo il progetto non può che risultare straniante, poco fruibile e confusionario, data la mancanza di chiarezza sulla direzione che il film intende prendere come biopic.

Lo spettatore tolkieniano, che conosce i legami tra l’autore e tutto il corpus delle sue opere, comprende la pura sintassi del film, la strategia diegetica di trattare piccole porzioni di più opere e può dunque riconoscere i segni lasciati e apprezzare o meno la riuscita dell’operazione.

Lo spettatore che è meno alfabetizzato sullo scrittore, che magari ha letto solo i libri maggiori e visto i film, è in grado di capire la maggior parte dei riferimenti ma è indubbio che debba confrontarsi con una persistente frustrazione, come se fosse consapevole di non avere il quadro generale di ciò che sta guardando.

Per coloro invece che si sono confrontati con Tolkien solo attraverso le versioni cinematografiche dei suoi lavori (e non sono pochi), magari anche a fatica, senza apprezzare troppo la “versione” di Peter Jackson e portati in sala magari da chi fa parte di una delle precedenti categorie, Tolkien rappresenterà una vuota delusione, un progetto che, a detta di questi spettatori, dovrebbe parlare della genesi del Signore Degli Anelli o de Lo Hobbit  e invece finisce per perdersi in discorsi quasi senza senso si loro occhi.

Tre presupposti diversi che creano tre spettatori con tre background diversi, che approdano ad opinioni diverse e contrastanti.

Possiamo dire che molto dell’opinione la fa lo spettatore in sé, solo lui sa cosa gli comunica un film, ma in questo caso la materia delicata della vita e opera di Tolkien e il modo in cui viene scelto di trattare tutto, apparentemente senza trattare niente, non aiutano né la comprensione né il confronto puramente estetico con il film.

Come già successo ad alcuni dei progetti sopra citati, questo film risulta più lungo della sua reale durata temporale, il tutto accentuato forse, dalla lentezza di alcune situazioni. Gli attori compiono il loro dovere, senza brillare eccessivamente, la fotografia delle scene di guerra è molto suggestiva, ben riuscita, quella del resto del film risalta meno.

In conclusione, un film che si presta ad essere apprezzato da pochi, con un grande potenziale inespresso, non solo attoriale ma anche narrativo; si inserisce nel genere di cui tenta, senza riuscirci del tutto, di oltrepassare i confini, rischiando di annoiare lo spettatore meno tolkieniano e allo stesso tempo di irritare i puristi. Volendo raccontare qualcosa che ovviamente non poteva essere racchiuso tutto in un unico film (proprio come le opere del suo oggetto di studio) lascia che a parlare sia un racconto superficiale di una vita che meritava una narrazione più approfondita, attraverso un approccio al materiale diverso.

Sabrina Podda

Sabrina Podda

nata nel ’92, incontra il cinema fin dall’infanzia, che da fedele compagno di crescita diventa motivo di vita e introspezione; laureata in cinema con una tesi sull’evoluzione della stop motion nei film di Tim Burton, aspira a diventare regista di storie non ancora raccontate e di quelle già narrate, offrendone un nuovo punto di vista; collabora con Liberando Prospero per offrire prospettive interpretative alternative sui film altrui e nuovi spunti di riflessione attraverso le proprie realizzazioni; a tal proposito, dà vita alla Firefly Productions, una nuova realtà che farà luce nelle zone buie della ripresa video (cinematografica e non), illuminando prospettive finora mai realizzate.

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