The Leather Special (2016) di Amy Schumer

The Leather Special (2016) di Amy Schumer

Forse un buon punto di partenza per avvicinarsi al senso profondo del Leather Special di Amy Schumer ce lo offre Inside Amy Schumer, lo show televisivo cult che l’attrice ha curato per Paramount Comedy dal 2013 al 2017 (finora). 

Ambizioso progetto tra l’intervista verità, la stand-up e lo show esperienziale, Inside Amy Schumer raccoglie attraverso un montaggio a tratti anarchico stralci dei monologhi della sua creatrice, sketch scripted, parentesi surreali ed interviste sui generis.

Inside Amy Schumer appare, a posteriori, come una dichiarazione programmatica della sua autrice, che sceglie di immergersi in prima persona nell’oggetto dei suoi monologhi e che, soprattutto, cerca sempre di porsi evidentemente nel tempo che sta raccontando.

Da questo punto di vista, il Leather Special di Amy Schumer assume una curiosa risonanza proprio nel momento in cui si sceglie di far dialogare lo spettacolo non solo con la sua autrice ma anche con il momento storico con cui entra in contatto.

The Leather Special è stato diffuso da Netflix a partire dal Marzo del 2017 ed è stato registrato nel Novembre 2016.

La sera dello spettacolo dal vivo manca praticamente un anno esatto (o quasi) allo scandalo Weinstein eppure The Leather Special si ritrova ad intercettare in maniera inconsapevole molte delle linee tensive neo femministe che esploderanno di lì ad un anno.

Intendiamoci, lo spettacolo della Schumer non vuole essere un prologo all’ondata #metoo, quanto offrire un’infrastruttura ideologica contemporanea e soprattutto sui generis alla spinta di emancipazione femminista colta sul finire degli anni ’10.

Poco dopo l’inizio dello spettacolo, in realtà è la stessa Schumer ad offrire due spunti utili a comprendere il passo che intende adottare durante il Leather Special.

La riflessione sulle mutande sgualcite dopo una notte di sesso, di cui la Schumer cattura tutta la convenzionalità e la banalità rispetto al corrispettivo immaginifico insito nelle nostre fantasie, apre un violentissimo squarcio su una sessualità quotidiana, lontana dai filtri Instagram e di cui l’attrice, attraverso il suo doppio finzionale e narrativo si fa portavoce.

Ma pensiamo anche a cosa succede poco dopo: la Schumer torna a pescare dalla sua biografia e ricorda quando una sua foto in intimo pubblicata sui suoi social divenne virale e l’attrice venne considerata “coraggiosa” dai suoi follower, un aggettivo che, ammette, non riesce a spiegarsi tutt’ora, proprio perché, dice, “si tratta di una foto normalissima, non di un qualcosa da temere né di un gesto di coraggio”. Si tratta di una dichiarazione d’intenti che, nella sua normalità, vuole essere non solo l’asse portante di una nuova idea di empowerment al femminile ma anche essere la chiave di volta con cui criticare la morbosità di internet e dei media.

L’ultimo momento di questa sequenza molto simile ad un prologo in tre atti lascia impattare il pubblico proprio con il linguaggio peculiare che l’attrice adotterà durante il monologo.

L’esilerante parentesi in cui la stand up comedian racconta il rapporto con i suoi genitali, tra giorni buoni ed altri meno buoni, e in cui invita le donne a non considerare qualcosa di alieno o di respingente il proprio organo sessuale perché “è normale che sia così e non ha senso esserne imbarazzate” rende evidente quanto gli strumenti centrali di costruzione del Leather Special siano tanto il basso corporale quanto una curiosa idea, sui generis, di autobiografismo.

È evidente infatti che la Schumer ripensa in maniera personale quel racconto di sé centrale nell’estetica della stand up. Portando alla luce, in pubblico, la sua quotidianità, la sua sessualità, l’attrice è infatti una sorta di capro espiatorio che, nel mettersi a nudo, desidera porsi come entità su cui le donne comuni possono rivedere sé stesse, le proprie imperfezioni, i propri supposti difetti, i quali, portati in scena, quasi ingigantiti dall’atteggiamento della Schumer, dal suo stile aggressivo, subiscono paradossalmente un evidente processo di normalizzazione.

In questo senso, dunque, il Leather Special diventa il manifesto politico di Amy Schumer attraverso cui l’attrice desidera diventare la portavoce di un femminismo unico, universale, democratico, basato su un rapporto con il proprio corpo che non cerca strategie di fuga né alleggerimenti di sorta, che racconta di secrezioni, di mestruazioni, di sudore, di rapporti sessuali probabilmente ricchi di piacere ma forse privi di poesia, un’ideologia grazie alla quale ogni donna potrà dialogare con la sua identità profonda di donna senza filtri.

The Leather Special struttura il suo racconto del femminile a partire da tre macro riflessioni.

In primo luogo, il monologo pare voler intercettare un macrotema che potremmo definire “formativo”. La Schumer, con atteggiamento risoluto mette infatti in chiaro le disparità presenti nelle diverse educazioni sociali che contraddistinguono gli uomini e le donne anche nella loro sfera sessuale, con i primi educati a considerarsi perfetti e infallibili e le seconde spesso prigioniere di insicurezze imposte loro dall’esterno e, citando la stessa Schumer “condannate ad odiare sé stesse senza sapere perché”.

In quest’ottica, il racconto vivido di un suo rapporto sessuale tipo, da parte della stand up comedian si pone come un ritorno ai motivi del prologo, aggiornato tuttavia alla luce della riflessione appena compiuta e verso la sintesi di empowerment al femminile davvero consapevole.

Quel “vi spiego cosa vuol dire scoparmi”, che colpisce improvvisamente lo spettatore e cade a peso morto con lo spazio scenico non è solo l’apice del meccanismo di messa a nudo della Schumer ma è forse anche il punto più alto di quel racconto della sessualità tanto realistica, a suo modo banale, quanto iconoclasta nei confronti di quello stesso immaginario che gioco forza finisce per influenzare la nostra percezione del sesso.

La Schumer non cerca la via facile e in una spinta autoparodica gioca con la sua rigidità durante il rapporto sessuale ma ciò che colpisce, in controluce rispetto alle sue parole, è il modo in cui la donna punta a ripensare il rapporto con l’uomo.

Malgrado l’afflato ironico l’autrice si sofferma sul desiderio di controllo della parentesi erotica.

È lei che guida il rapporto, è lei che ne decide l’epilogo, è lei che guida l’uomo anche nell’apice del piacere, è sempre lei che, alla fine, osserva “colui che fino ad un attimo prima era l’uomo più forte del mondo, diventare l’ultimo degli sbarbati teenager al Luna Park”.

Ridicolizzare l’orgasmo maschile per la Schumer non vuole essere tanto un momento di attacco violento verso l’uomo quanto lo spunto attraverso cui l’uomo e la donna finiscono, finalmente, sullo stesso piano, caratterizzati da difetti o limiti simili, malgrado altre narrazioni dicano il contrario.

Prevedibile che, dopo questa parentesi di autoanalisi, la Schumer sposti la sua attenzione sullo sguardo, carico di giudizio, che la comunità posa sulla donna.

Amy Schumer ragiona di anticoncezionali felicemente senza pudore, racconta di quella volta in cui ha preso una sbronza colossale, legittima il desiderio universale di uscire fuori dagli schemi senza il timore di essere giudicata ed infine attacca con risolutezza la lobby delle armi rendendo chiaro fin dal primo momento che “si può parlare apertamente di sesso, si possono fare battute spinte e al contempo voler proteggere la propria famiglia”.

Colpisce, a margine, che al termine di questo segmento la Schumer torni a svelarsi a chi l’ascolta, raccontando di quella volta in cui un executive l’aveva convinta a dimagrire prima di girare il suo esordio al cinema, Trainwreck, lasciandole intendere che lei nell’ambiente fosse considerata “una grassona”.

Avevo iniziato la dieta ma magra mi sembravo ridicola, non ero più io”, ammette subito dopo la donna, riconoscendo che è inutile continuare a perdersi nelle insicurezze e a chiedersi se, pur lontana da certi canoni estetici una donna potrà continuare a piacere agli uomini perché tanto l’uomo continuerà sempre e solo a pensare al sesso e a come soddisfare i suoi bisogni carnali.

Arrivata all’ultima parte del processo di costruzione del suo manifesto post femminista, la Schumer, in un processo dal particolare al generale, rivolge la sua attenzione al modo in cui l’immaginario, in particolare quello digitale, relativo alla sfera dei media o ai social network, modella la percezione del corpo femminile.

Ponendosi di nuovo al centro del quadro l’attrice svela dunque tutta l’artificiosità delle rappresentazioni che dello star system offrono certi magazine alla moda, che, ad esempio, scrivono di lei e della sorella come se si trattassero delle sorelle Kardashian quando in realtà indossano abiti normalissimi, non di marca e sono catturate dai flash dei paparazzi mentre sembrano “impegnate in un trasloco e costrette a indossare decine di abiti diversi perché abbiamo finito i borsoni”.

Non stupisce che l’attacco finale a quest’immaginario impalpabile ma al contempo spesso nocivo per il genere femminile sia diretto contro Instagram stesso, il social della vetrinizzazione di sé, della falsificazione del reale, della sensualità così perfetta da finire per riferirsi a entità asessuali, né può essere casuale che la frustrazione di non essere Irina Shayk, modella di straordinaria bellezza e compagna di Bradley Cooper nata, secondo la Schumer, “dall’unione di una pantera e di una tigre”, si risolva nel liberatorio “Fuck her, she will never be brave” che, si, rimanda ironicamente a quel coraggio con cui si è aperto il monologo ma che manifesta, evidente, ancora una volta, la volontà di accettarsi così come si è malgrado il contesto sociale in cui viviamo, spesso, ci faccia sentire inadeguati o fuori posto.

Il Leather Special propone una via inedita alla militanza femminista, antiretorica, ben fissata nel tempo, addirittura in anticipo sulla cronaca.

Amy Schumer ha capito, in sostanza, che prima di fare proclami, prima di agire nella società, la donna ha bisogno di accettare sé stessa come è e di percepirsi come moltitudine, trovando coraggio nel confronto reciproco e accettando tutti quei tratti di sé che la società le ha fatto percepire, erroneamente, come anormali. Solo partendo da un modello di donna ricostruito, consapevole di sé, si potrà, davvero, fare la rivoluzione.

Alessio Baronci

Classe 1992. È laureato in Letteratura, Musica e Spettacolo alla Sapienza e ha continuato imperterrito ad indagare il mondo delle arti specializzando in Spettacolo, Moda ed Arti Digitali. Folgorato sulla via della celluloide a nove anni, dopo aver visto "Il Gladiatore" di Ridley Scott, da quel momento fagocita film di ogni tipo mosso da due convinzioni: la prima è che tutte le arti sono in comunicazione tra loro e sono influenzate dal contesto culturale in cui nascono; la seconda è che poche forme d’arte hanno un solo significato, la maggior parte nasconde qualcosa di più profondo all'occhio di chi guarda. Scoprire "quel qualcosa", sempre, è uno degli obiettivi della sua vita. Quando sul finire del 2015 fonda “Liberando Prospero”, insieme agli altri membri del primo nucleo, lo fa con l’obiettivo di distruggere e ricostruire da zero il rapporto tra arte e pubblico, utilizzando ogni mezzo necessario allo scopo. Fa parte del team di autori del blog ed è "dramaturg" e performer del collettivo per quanto riguarda il versante delle esibizioni live.

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