Dove eravamo e dove siamo ora: al tramonto dell’ottava generazione videoludica

Dove eravamo e dove siamo ora: al tramonto dell’ottava generazione videoludica

Arrivati ormai al lancio di due nuove console come Xbox Series S/X e Playstation 5 siamo definitivamente giunti alla conclusione dell’ottava generazione videoludica, e per l’occasione vogliamo immergerci in una panoramica di questa “era” del mezzo artistico del videogioco che si conclude proprio quest’anno.

Per coloro che non si definirebbero hardcore gamers, con “generazione videoludica” ci si riferisce ad un periodo dell’industria del gaming delimitato dall’uscita sul mercato di tecnologie che sono tanto più avanzate da poter effettivamente apprezzare un salto, più o meno notevole, in termini di qualità, complessità ed efficienza delle macchine che permettono di giocare al grande pubblico. Non è quindi la comparsa di una nuova tecnologia a sancire inizio e fine di una generazione, bensì la sua diffusione e accessibilità per un gran numero di potenziali utenti, evento che tradizionalmente coincide con l’ingresso sul mercato di console da gioco che implementano quelle tecnologie e che quindi rendono accessibile, anche economicamente, una certa tecnologia.

La generazione che si conclude quest’anno è considerata l’ottava, e il suo inizio si fa risalire convenzionalmente all’uscita sul mercato, nel 2011 del 3DS, la piccola console portatile di Nintendo che introduceva la visione in 3D (con risultati altalenanti) per la prima volta su un dispositivo portatile.

Non ci andremo tuttavia a concentrare eccessivamente su aspetti tecnici in questa panoramica dell’ottava generazione, bensì utilizzeremo i riferimenti temporali del 2011 e del 2020 come estremi di un periodo in cui il gaming, il videogiocare, si è evoluto ulteriormente.

La generazione che si conclude quindi in questo novembre 2020 va a coprire quasi un decennio, nel corso del quale il videogioco è cresciuto in modo esponenziale su smartphone, e se nel 2011 su uno smartphone potevamo giocare al massimo a Fruit Ninja e Angry Birds, oggi possiamo trovare giochi da portarci in tasca enormemente più complessi e appaganti. Insieme a Fruit Ninja, ovviamente.

Questa generazione in termini tecnici è stata caratterizzata inoltre dal progressivo avvicinarsi delle console fisse ad un’architettura sempre più simile a quella di un pc da gioco, con l’introduzione graduale di numerose caratteristiche che hanno consentito di godere sullo schermo della propria tv di immagini sempre più spettacolari, e allo stesso tempo abbiamo assistito alla crescita di piattaforme come Steam o Epic Games Store che hanno reso decisamente più accessibile giocare su pc per  il grande pubblico.

In questi anni si è anche diffusa per la prima volta la realtà virtuale in una veste finalmente accessibile per chiunque, attraverso visori più o meno economici che consentono di raggiungere vette di immersione sensoriali che sono semplicemente impossibili con sistemi tradizionali e che fino a pochi anni fa erano estremamente costosi e decisamente più complicati da utilizzare e che rappresentano invece ora una tecnologia decisamente più matura. In questo processo, l’investimento economico di Facebook nell’acquisizione di Oculus e nella realizzazione dei suoi visori proprietari ha rappresentato un boost estremamente significativo nella diffusione della realtà virtuale a basso costo, insieme probabilmente al PlayStation VR di Sony. Meno fortunata è stata Microsoft con la sua mixed-reality di Kinect, che sembrava dovesse essere una killer application agli albori di questa generazione videoludica, ma che si è rivelata una scelta poco gradita al pubblico e mai sfruttata fino in fondo.

Abbiamo assistito alla morte, quantomeno parziale, delle console portatili, che dai tempi del Game Boy accompagnavano le partite all’aria aperta di molti. Le due console portatili di questa generazione, Nintendo 3DS e Sony PS Vita hanno avuto destini diversi. Se il primo, dopo un periodo non troppo roseo inizialmente, ha iniziato a macinare vendite ad un ritmo incessante praticamente fino alla sua uscita dal mercato, la console portatile di Sony non ha mai, purtroppo, decollato. Tecnologicamente un piccolo gioiello, è stata in realtà quasi subito abbandonata da Sony stessa ed è assai probabile che, a questo punto, non vedremo più una console portatile di Sony. Il responsabile della fine delle console portatili, per lo meno come le conoscevamo, è stato chiaramente la crescita esponenziale del mercato dei giochi e delle app su smartphone, i quali hanno progressivamente fagocitato e assorbito questa fetta di mercato.

Rappresenta un caso a sé stante Nintendo Switch, la console ibrida che è portatile ma anche utilizzabile su tv, che potremmo considerare attualmente come l’unica console che porta, e probabilmente porterà avanti ancora per un bel po’, il concetto di console portatile non-smartphone, rimanendo unico attore in questo settore a proporre un gioco di qualità su console in formato handheld.

In questa ottava generazione abbiamo anche visto crescere esponenzialmente gli indie, ossia tutti quei titoli prodotti da piccoli team creativi indipendenti, che non hanno una grande produzione alle spalle, come inizialmente era per il genere indie in ambito musicale (che di indie ha ormai ben poco). Questo ha consentito ai videogiocatori di godere di piccole meraviglie, rese possibili da una distribuzione che ha dato maggiore spazio a questo tipo di contenuti, che hanno quindi spalancato le porte al videogioco indipendente, rovesciando tonnellate di titoli che hanno enormemente ampliato, dagli smartphone ai pc, passando per le console, l’offerta videoludica.

Il ruolo di internet e del gioco online sono diventati in questi 9 anni fondamentali nel plasmare una buona parte delle produzioni più grandi dell’industria videoludica. Abbiamo assistito a veri e propri fenomeni globali, come Fortnite e l’esplosione di Pokémon GO, capace di far tornare i Pokémon ad essere, seppure per una sola estate, una questione di ordine pubblico, con persone di ogni età a caccia di mostri tascabili in ogni luogo consentito e non. Allo stesso tempo, i MMORPG (massively multiplayer online role-playing game), titoli da giocare online contro o insieme ad altri giocatori connessi, si sono consolidati come una delle colonne portanti dell’industria videoludica, pensando a titoli come poco fa citato Fortnite, o Destiny, Call of Duty e moltissimi altri.

Il videogioco in questi ultimi anni ha iniziato ad avere anche un nuovo ruolo come forma di intrattenimento passivo. Se nativamente il videogioco è una forma di intrattenimento attiva, in cui siamo noi a giocare, negli ultimi anni lo streaming di contenuti giocati da altri attraverso piattaforme come Twich o la diffusione di grandi competizioni di e-sports danno la misura di come il medium si sia evoluto anche come forma di intrattenimento non-giocato, ma divertente da guardare, sia in un’ottica competitiva che semplicemente di fruizione di contenuti.

In termini di qualità e di esperienza videoludica, ripensando a questa generazione non possono non venire in mente giochi come The Last Of Us 2, The Witcher 3: Wild Hunt, The Legend of Zelda: Breath Of The Wild, Red Dead Redemption, Super Mario Odissey, Horizon: Zero Dawn e moltissimi altri per cui servirebbero pagine e pagine fitte di nomi, più conosciuti o meno, per rendergli giustizia. Abbiamo avuto giochi dotati di una sceneggiatura e una regia cinematografica di livello, altri si sono distinti per essere visivamente impressionanti, altri ancora hanno proposto un gameplay meravigliosamente rifinito e curato e altri ancora sono stati capaci di dividere il pubblico in modo netto in funzione della loro capacità di rompere gli schemi precedenti. Ci sono giochi inoltre che hanno dimostrato che un cammino di redenzione è sempre possibile, e che seppur aspramente criticati al lancio, i loro sviluppatori hanno deciso di fare ammenda e impegnarsi nell’emendare le loro colpe. L’esempio più luminoso in tal senso, è stato probabilmente No Man’s Sky, che oggi si presenta come un gioco estremamente completo, articolato, e in cui è palpabile la dedizione e l’impegno che i creativi dietro di lui hanno profuso nel migliorare quello che inizialmente era definito da alcuni un “simulatore di solitudine” e che oggi è un universo, letteralmente, da esplorare in mille modi, segno che la community di videogiocatori ha un potere verso chi produce queste opere, e che se ascoltata, può fare la differenza tra un ennesimo titolo volto ad occupare lo scaffale di un negozio e ore di divertimento e meraviglia.

Questa ottava generazione è stata inoltre la prima a vedersi davvero proiettata sin dal suo inizio nel mondo dei social, aspetto che ha avuto probabilmente un impatto positivo sulla sua diffusione come forma di intrattenimento molto più “pop” che in precedenza.

Videogiocare è diventato qualcosa di “cool”, da gridare al mondo e far conoscere ai nostri amici e non, e in questo il mondo social ha sicuramente avuto un ruolo, mostrandoci attori e attrici, sportivi famosi e personaggi dello spettacolo condividere con il mondo la loro passione per il gaming.

Ma questo cambio di prospettiva, questa crescita esponenziale del gaming si deve sicuramente anche ad altri fattori. Il primo è, a parere di chi scrive, di tipo generazionale. In questi 9 anni hanno raggiunto un maggiore potere di acquisto tutti coloro che sono letteralmente nati con un Game Boy in mano dalla fine degli anni ’80 fino ai primi 2000. Questo fa sì che sempre più generazioni che hanno la possibilità di acquistare e diffondere la cultura del gaming vedano il videogioco come una forma di intrattenimento familiare, quotidiana e socialmente non solo accettata ma rinforzata. Questo aspetto si può notare anche nell’aumento esponenziale di videogiocatrici che sono ormai circa il 42% dell’utenza, aspetto a cui fa eco una riduzione degli stereotipi di genere all’interno dei giochi stessi e una maggiore presenza di protagonisti femminili, un fenomeno incoraggiante e fondamentale per far sì che il videogioco, all’alba di questo nuovo decennio, possa definitivamente essere riconosciuto come arte e forma di intrattenimento per tutte e tutti.

Ulteriore segno della diffusione del videogioco nella cultura di massa sono state le produzioni cinematografiche, più o meno riuscite, ispirate da serie videoludiche, come ad esempio la serie fantasy di The Witcher su Netflix, prossimamente quella ispirata al mondo post-apocalittico di Fallout su Amazon Prime e il film in lavorazione che riprende le vicende di Nathan Drake di Uncharted.

Il videogiocare in questo 2020 è sicuramente diverso da come poteva esserlo nel 2011. Siamo sempre più vicini al realismo e all’immersività in termini estetici, anche se non tutti seguono questa strada e da questa divergenza nascono opere visivamente stupende e uniche. Siamo perennemente connessi e, forse troppo spesso, spinti verso un maggiore uso del multiplayer online, della condivisione della nostra esperienza con altri che non sono presenti fisicamente con noi. Abbiamo accesso oggi ad una varietà di produzioni estremamente più ampia che in precedenza, e il mondo del gaming è sempre più vasto, ricco (anche dal punto di vista delle software house, che hanno visto crescere i loro guadagni in modo esponenziale nel corso di questa decade) e accessibile a tutte e tutti coloro che vogliono esplorare questo mondo, che è oggi definitivamente parte della cultura pop e non più un interesse di nicchia relegato alla stanza di un adolescente.

Ci sono forse delle ombre legate a questa generazione? Sì, come sempre del resto. L’evoluzione del mondo videoludico porta con sé le sue cicatrici. Una di esse riguarda la spregiudicata fame di denaro delle software house, che spesso hanno proposto titoli online in cui si implementa la formula del pay-to-win, ossia sono resi necessari acquisti in denaro per ottenere strumenti e oggetti utili, se non indispensabili, per giocare. Altro fenomeno che si è reso diffuso in questo decennio è la pubblicazione frettolosa di giochi palesemente non del tutto completi, segno di come alla crescita di questo mercato si è accompagnato anche il tentativo di chi produce videogiochi di sfruttare il più possibile le proprie risorse, pubblicando giochi incompleti e fornendo successivamente, non di rado a pagamento, contenuti che avrebbero palesemente dovuto essere parte del gioco al lancio. Tale corsa alla pubblicazione di titoli sempre più costosi e impegnativi in termini di risorse economiche e umane ha inoltre portato non di rado in questi anni all’emergere di numerosi episodi documentati di sfruttamento dei dipendenti delle software house che sono stati costretti, all’interno di grandi produzioni ad alto budget, a ritmi di lavoro insostenibili, con più di 80 ore di lavoro a settimana, un fenomeno che rischia di essere più frequente in un mercato più veloce e affamato di titoli.

Cosa resterà quindi di questa ottava generazione? Al di là degli aspetti più tecnici, c’è sicuramente un medium di intrattenimento che ha raggiunto la sua maturità sotto molti punti di vista, sia come capacità di consolidare le proprie particolarità e sia come capacità di sperimentare nuove soluzioni. Il videogioco è cultura pop, è parte della quotidianità di moltissime persone che 9 anni fa, probabilmente non avevano un controller in mano abitualmente. È un mondo più inclusivo, in cui cadono molti stereotipi. È un mezzo considerato sempre di più nel mondo dell’educazione e dello sviluppo come parte integrante di percorsi educativi e terapeutici, e di cui si conoscono oggi molti effetti positivi sul potenziamento cognitivo per tutte le età.

Viviamo tuttavia in una società che tende a far sentire le persone sempre più sole, e in questo senso il videogioco ha una responsabilità, portare le persone a connettersi davvero tra loro e non a diventare una facile fuga da una socialità che spaventa. Il videogioco possiede una incredibile capacità di educare, di portare valori e ideali, di far divertire così come di commuovere e di emozionare, e tutto questo è cuore, mente, corpo e azioni. Ogni forma d’arte porta in sé, quando è davvero espressione artistica, una responsabilità, e il videogioco, a conclusione di questa ottava generazione, è ormai maturo per assumerla nel contesto sociale in cui ci troviamo oggi, e in cui ci troveremo domani.

Federico Diano

Nato a Roma, classe ’92. Psicologo. Chitarrista. Gamer. Sincero esploratore di qualsiasi cosa trasmetta delle emozioni e sappia raccontare una storia. Convinto sostenitore che il rock and roll sia in grado di morire e risorgere. Divide la sua vita in prima e dopo aver inserito a 15 anni, per sbaglio, un best-off dei Led Zeppelin nello stereo. Entusiasta collaboratore per gli amici di “Liberando Prospero” dal 2018, in particolare per ciò che è legato alla musica e al videogioco, del quale sostiene e difende la piena maturità e dignità artistica

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